sabato 23 maggio 2015

6b. - Marvellous Hotel

Quella panchina è la sua unica amica per questa notte, non ha bisogno di altro, vuole solo riposare, riprendere fiato, sapere che lì seduto può fuggire dal rumore. La testa gli scoppia, butta giù un sorso di rum, secco. Il suo stomaco rigetta acido nella sua bocca, lui deglutisce, e ne prende un altro sorso.
Vorrebbe solo una folata di vento abbastanza forte, una di quelle che al suo passare cambia le stagioni. Forse  quella potrebbe riuscire a portarsi via la sabbia, lo sporco che impastano la sua bocca impedendogli di respirare senza avere quell'orribile gusto amaro di vita in bocca. Preferisce il rum, un lungo sorso di rum. Sputa per terra un pensiero, ne ha troppi in testa, rimbalzano rigettati dalle sue sinapsi ubriache di realtà. È come uno di quegli ingorghi che il tardo pomeriggio sporcano la Retford Street di clacson e bestemmie. La bottiglia è finita. Deve alzarsi e camminare. 
E poi, non c’è abbastanza vento questa sera.
I suoi passi si scambiano il posto, avanti un piede, poi l'altro, destro, sinistro, destro, sinistro. Alza la testa, l'aria fredda lo sfiora, segue i suoi lineamenti solcando il suo viso scavato. Riabbassa la testa, non ha voglia di vedere cosa sta succedendo intorno a lui quella notte. I suoi piedi continuano a rincorrersi, destro, sinistro, destro, sinistro. Aspira una boccata profonda di fumo, lo sente entrare nei polmoni, scaldarli, ed uscire nero. Il filtro appena bagnato ha un colore sporco. Lui continua a guardare i suoi piedi passarsi il testimone. Destro, sinistro, e ancora destro e poi sinistro. Cammina stanco, continua ad andare avanti. Con lo sguardo segue la sua ombra navigare le imperfezioni dell'asfalto grigio. Sente dall'interno crescere come un urlo, gli riempie la testa e poi rimbalza di nuovo giù, dove può controllarlo. Si ferma solo un secondo, come se gli fosse scappato di mente un pensiero, fa un respiro, e poi riparte. Destro, sinistro, e ancora destro, sinistro.
I numeri sul pannello si illuminano uno ad uno seguiti da un suono fioco. Il piede sinistro dà la spinta per uscire dall’ascensore. Lui svolta a destra ed imbocca uno stretto corridoio semibuio illuminato da alcune lampade in ferro battuto appese al muro. Scorre velocemente i numeri delle porte situate su entrambi i lati del corridoio, poi si ferma. Infila la chiave nella serratura ed entra, è la camera che ha affittato per la notte, la numero 6b.
Accende la luce premendo l’interruttore sulla destra, chiude la porta alle sue spalle ed appoggia la borsa sul letto. La stanza nel suo insieme risulta quasi claustrofobica. La moquette ha visto momenti migliori, ed il letto è uno di quelli che solo sfiorandolo bisbiglia metallico le troppe ore di sesso sudato che ha dovuto subire. Sul comodino ci sono un telefono ed una bibbia sgualcita che sembra catechizzare i muri ruvidi color canarino.
Si spoglia e rimane solo con le mutande, accende la tv e si stende sul letto che sa di varechina. Sorseggia piano il troppo poco whiskey e scorre veloce i canali, quasi nevroticamente. Una televendita di aspirapolvere, un vecchio film western, un incontro di wrestling, un programma di cucina dove una grassa signora prepara torte poco invitanti. Sempre più velocemente preme il tasto per cambiare canale, quasi volesse assassinare il telecomando, poi di colpo smette. Lo schermo della televisione diventa blu notte e sullo sfondo compare una scritta in grassetto: 
SE AVETE UNA DOMANDA,
QUI TROVERETE UNA RISPOSTA.
Tel: 0083 – 224906
Lui rilegge la frase scritta sullo schermo scuro della televisione più volte, quasi si aspettasse che da un momento all’altro le parole che aveva letto cambiassero, o magari che la schermata mutasse, invece di quella frase così strana, tornasse la signora grassa delle torte. Stranito, si alza e va a pisciare, tira lo scarico, si sciacqua le mani, e torna a sedersi davanti al piccolo schermo. Si gira di scatto, si allunga sul letto e prende il telefono sul comodino, ritorna seduto, e compone nervosamente il numero che c'è scritto in tv. È libero, l'apparecchio emette regolarmente dei suoni profondi e lunghi, poi cessano. Qualcuno dall’altra parte del telefono tira su la cornetta.
“Pronto?! C’è nessuno?! Pronto?!”, nessuno risponde, si sente solo l’eco di un respiro profondo, quasi rauco. “Pronto?! Sento che sei lì, ho visto l’annuncio in televisione, non so cosa mi è passato per la mente, ma ho telefonato.”, nessuna risposta, dalla cornetta si sente solo il respiro pesante che sembra quello di un uomo. “Cos’è una presa in giro?! Ti conviene rispondere altrimenti non t’immagini nemmeno quello che ti faccio!”. Dall’altra parte niente. “Ah! Ho capito, sei un lurido pervertito con i soldi che si può permettere di mettere annunci in tv per attirare telefonate! Ti ecciti così vero?! Ascolti la mia voce ed intanto ti fai una sega vero?! Schifoso figlio di puttana!”, riprende fiato, dall’altra parte della cornetta nulla è mutato, sempre il solito respiro lento e scandito. “Che cazzo mi sarà passato per la mente a me per chiamare un numero preso in tv sotto una scritta così ridicola! Cosa mi aspettavo di sentire?! Cosa volevo domandare?! Ho così tante domande...boh, forse in realtà non ne ho nessuna, forse volevo solo vedere se in questo schifo c’è ancora qualcuno che è disposto ad ascoltare. A me basterebbe uno qualunque, non chissà chi. Molti si aspettano di essere ascoltati da politici, madri, padri, qualche coglione persino da Dio. Io mi accontenterei di un bastardo qualsiasi, sono così disperato che anche uno stronzo come te andrebbe bene!”, sorride, “In realtà poi anche se trovassi qualcuno disposto ad ascoltarmi non saprei nemmeno cosa dirgli. Io sono sempre stato uno riservato, conosco tanta gente ma nessuno mi conosce veramente, non sono mai riuscito a rendere quello che avevo dentro decifrabile agli altri, forse non ho mai voluto. Sono sempre rimasto nel mezzo ma in disparte, mi spiego?! E’ come se tutti pensino che sia io quello con cui vanno a mangiare fuori, o a ballare, ma in realtà è una controfigura. Dio, sono sempre stato una frana con le parole! E’ da quando sono piccolo che mi sento estraneo alla vita, persino casa mia non l’ho mai sentita veramente mia. Non è colpa di nessuno probabilmente, ho sempre avuto accanto a me persone bellissime. Sia i miei genitori che i miei amici mi sono sempre stati vicini, ma non hanno mai capito realmente chi sono. Qualche volta hanno provato anche a chiedermelo quello che avevo in testa, ma io non ho mai avuto abbastanza parole per spiegarglielo. Ho imparato col tempo a mascherare tutte queste mie emozioni sotto una maschera con un sorriso a trentadue denti stampato sopra. Così col tempo hanno smesso anche di chiedermelo cosa cazzo c’avessi in testa. Sono diventato l’anima della festa capisci?! Per tutti mi sono trasformato in quello da seguire, in quello che molti vorrebbero diventare, mi sono speso per tutti coloro mi stavano vicino. Sono diventato una specie di collante che tiene insieme e al sicuro un micro mondo nel quale vivono le persone a cui tengo. Ma io in tutto questo?! Sono morto poco alla volta, è andata affievolendosi la luce che avevo dentro, piano, ma inesorabilmente. Come un faro che illumina chilometri fuori da sé, mentre al suo interno è sempre notte e buio terso.”. Dall’altra parte della cornetta ancora nulla era cambiato, sempre quel respiro, che ora era quasi diventato rassicurante. “Penserai che io sia patetico, e probabilmente lo sono, un debole anche, una persona che non è mai riuscita a trovare la sua strada e che quindi accompagna gli altri nella loro. Un metro con uno, poi passa un metro con un altro, e così via. Ma se non sono mai riuscito ad essere sincero con me stesso cosa avrei mai potuto fare altrimenti?! Forse chiamare prima questo numero!”, ride. “Forse so cosa avrei dovuto fare. In realtà penso di aver sempre saputo perché la mia vita ha preso questa piega, questa distorsione impossibile da raddrizzare. E’ colpa mia, quando è arrivata la mia occasione ho avuto paura, e la vita non te ne concede una seconda. Era lui la mia strada, Vasco, la mia vita è stata sua dalla prima volta che l’ho visto. Eravamo compagni di classe al liceo, eravamo giovani e bellissimi, lui era bellissimo. Io non sono mai stato un ragazzo pieno di donne, ho sempre pensato fosse per il mio carattere e per la mia brutta acne. Poi ho capito che non erano le ragazze ad interessarmi. È stato strano e spaventoso accorgermi di sentire di voler qualcosa in più che un’amicizia con un uomo. Forse è stato vedere Vasco per la prima volta a farmelo capire, ma io ho aspettato anni prima di ammetterlo a me stesso. Qualche volta ho pensato non fosse neanche una questione di essere etero o gay, era proprio lui che volevo, erano i suoi occhi ad avermi rapito, la sua pelle. Sentivo come un filo invisibile che collegava le mie labbra alle sue. In realtà io e lui abbiamo incominciato a parlarci solo durante l’ultimo anno di liceo, prima non avevo mai avuto il coraggio di avvicinarmi. Vasco era il ragazzo che tutte le ragazze volevano, il più figo della scuola. Io invece ero solo un ragazzino confuso e terribilmente spaventato da lui e da quello che provavo nei suoi confronti. Poi è successo, era la gita dell’ultimo anno, Parigi. La sorte ha voluto che io e lui finissimo in camera insieme, solo noi due. Era l’ultima notte prima di tornare a casa, io facevo finta di dormire. In un secondo, senza riuscire nemmeno bene a capire cosa stesse succedendo sentii entrare Vasco nel mio letto. Ancora prima che potessi dire qualsiasi cosa mi baciò, morbido e dolce, facemmo l’amore per tutta la notte e, sfiniti nel letto disfatto, ci addormentammo abbracciati.”. Si interrompe qualche secondo, vivendo fino infondo il profumo di quella notte, ancora vivo dentro di lui. “Sai, penso di essere stato me stesso solo quella notte in tutta la mia vita. Solo quelle lenzuola e le labbra di Vasco sono riuscite a leggermi dentro, nessuno è mai più riuscito a conoscermi davvero.”, una lacrima, “La mattina mi svegliai nudo e solo, lui era sparito. Se ne era andato e nessuno riuscì mai a sapere perché e dove fosse andato, lo cercarono per mesi senza nessun risultato.", silenzio... "Non potrò più riassaporare le sue labbra, né accarezzare i suoi capelli, né perdermi nei suoi occhi scuri. Sono perso.”.
La cornetta cade sul letto, i suoi occhi fissi nel ricordo di quella notte. Apre la borsa. Prende un foglio ed una penna, scrive solo quattro parole. Sfila dalla sacca una pistola, la mette in bocca, fredda. Preme il grilletto.
Sul foglio c'era scritto: ”Ovunque sei, ci sei.”.
Sei in quel bianco abbagliante che la mattina appena sveglio ti lascia ad occhi socchiusi intravedere.
Sei in quelle sere talmente vuote che se si avesse la forza di emettere un respiro si sentirebbe il suo eco navigare la bassa marea che c'è sotto la pelle. 
Sei in quelle notti passate sentendosi affogare nei litri di pensieri che fanno scoppiare il nulla nella mia testa.

Ovunque sei, ci sei.

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