sabato 31 maggio 2014

Il racconto di un ragazzo che non c'è più. #11

11.

Quei giorni passarono in fretta, sembravano la brutta copia di quel felice inizio estate, prima che succedesse il lento tracollo. Ogni sera, quando si ritrovava solo nel letto, guardando il soffitto al buio, lui pensava a Stefano, ad Elisa, e ad Amelie. 

Iniziò ad uscire con l’ex ragazza del forse suo ex migliore amico, erano passeggiate da amici, erano chiacchierate di sfoghi e consolazioni, erano belle. Un pomeriggio mentre si trovava seduto con Amelie su delle scalette vicino a casa di lei arrivò un chiamata che lo lasciò immobile per alcuni secondi, era Elisa.

“Ciao.” “Ciao Elisa, che succede, come mai questa chiamata?” “So che non sono la persona che vorresti sentire ora, ma penso che dovremmo mettere da parte un attimo quello che è successo, perché è morta la madre di Giorgia.”.

Giorgia era una compagna di classe di Elisa ed una sua amica, lui non sapeva bene perché avesse incominciato a scrivergli ma in poco tempo lei aveva speso parole pesanti per lui, che lo avevano lasciato stranito, riuscendo a strappargli anche qualche pensiero dal solito ammasso che aveva in testa. Per lui era un’amicizia strana, per lei fondamentale a quanto diceva, ma lui ne era rimasto amareggiato, pensava che Giorgia non sapesse bene il peso delle parole che usava, non le sapeva usare, e perciò ne rimase in disparte, per una questione di sicurezza forse. Questo non voleva dire che non si era affezionato a lei, ma forse non quanto lei, nonostante ciò la frase al telefono di Elisa lo scosse molto.

“Cosa? Giorgia mi aveva detto che sua madre non si era sentita bene, ma non pensavo a tal punto.” “Lo so, nessuno se lo aspettava, è stato tutto così improvviso.” “Mi dispiace un sacco, sul serio.” “Il funerale è lunedì, penso dovresti venire, ti ho chiamato per dirtelo, e poi, volevo sentirti.” “Penso che verrò, io odio i funerali, ma penso che verrò.”

Chiusa la conversazione lui raccontò quello che Elisa gli aveva detto ad Amelie, che ne rimase molto scossa, così dopo poco lui le disse che era meglio se tornava verso casa, e la salutò.

Arrivò in chiesa che la cerimonia era appena cominciata, si mise infondo alla piccola chiesa del paese in cui viveva Giorgia. La chiesa era piena a tal punto che molte persone si sistemarono in piedi fuori dal grande portone di legno riuscendo a seguire la voce del prete solo grazie alle casse posizionate fuori dalla minuscola cattedrale. Lui si ritrovò vicino a Paolo, il ragazzo di Elisa, e dopo essersi scambiati un freddo saluto seguirono la cerimonia in silenzio. Lui sapeva che Paolo non provava grande simpatia nei suoi confronti, era un ragazzo molto geloso e sapere che la sua ragazza aveva passato tanto tempo con lui l’aveva fatto imbestialire molte volte. 

Non riuscendo più a gestire l’aria tesa e sofferente che si respirava in chiesa lui uscì cinque minuti prima della fine della cerimonia per fumarsi una sigaretta. Mentre aspirava il fumo catramoso della sua sigaretta gli tornò in mente il funerale di suo nonno, quella chiesa piena di gente, piena di facce che non conosceva, c’era anche Paolo quel giorno, Elisa e Stefano no, non li conosceva ancora. Al solo pensiero di quel giorno, gli scoppiò dentro tutto il dolore che aveva provato, quel lacerante senso di vuoto, gli occhi di sua nonna che piangevano la scomparsa dell’uomo che aveva amato per una vita, le sue urla che gli dicevano di piangere, di sfogarsi, perché sarebbe morto tenendo tutto dentro, ma lui non lo fece. Si ricorda che all’udire delle grida sofferenti di sua nonna non pianse, non voleva che si mischiassero le loro lacrime, non credeva sarebbero state abbastanza bagnate le sue lacrime per unirsi a quelle di sua nonna. Non perché non volesse bene a suo nonno, ma  perché quelle di sua nonna uscivano dagli occhi che avevano visto e amato suo nonno per una vita. 

Così aspetto di essere solo, andò in bagno e scoppiò in un pianto di dolore, soffocato, silenzioso, in rispetto a quell’uomo che per lui era un esempio, un mito, era suo nonno. Insieme alla cenere di quella sigaretta cadde a terra anche una lacrima, era dal funerale di suo nonno che non piangeva, era da quando in quel bagno vide riflesse nello specchio le sue guance rigate di dolore. Lui odiava piangere. Gli venne in mente ogni singola parola di quella poesia che aveva scritto come ultimo saluto per suo nonno, gli sembrava quasi si materializzassero davanti ai suoi occhi, lì, in quel pomeriggio afoso, le sussurrò piano, come se fossero il suo più grande segreto:

La persona che sapeva sempre

C'è ancora il tuo odore,
qui,
nella tua stanza.
quella dove ti rinchiudevi
sempre,
viaggiavi in
quell'immenso
della tua mente,
e poi riapparivi,
bello, alto ed
elegante,
pronto per il pranzo.

Ti ricordi
quando tornavo da scuola e come
prima cosa salutavo te?
Coprivo i tuoi occhi
che avevano visto
tutto, e
ti sussurravo:
"Chi è?!”

Stupido gioco
di un bambino
innamorato 
di suo nonno.

Ma tu scherzavi
sempre ed
io ridevo.

Vorrei mi vedessi
ora.
Vorrei che
tu,
la persona che sapeva,
sempre,
mi dicesse che
è questa la mia
strada.
Vorrei poter ancora arrivare da dietro,
in silenzio, e
giocare con te:
“Chi sono?!”

Io non lo so.

I lampioni
in questa strada
non esistono.



A toglierlo dai suoi pensieri fu il vociare delle persone che uscivano dalla chiesa, lui si alzò e si diresse verso il grande portone di legno aspettando di vedere Giorgia per dirle quanto gli dispiacesse. Dopo pochi minuti la vide, sorrideva, e ancora mentre rimaneva allibito da ciò che aveva visto lei si avvicinò e lo abbraccio sussurrandogli nell’orecchio: “Grazie di essere venuto.”

Dopo che Giorgia si staccò da lui per andare a ringraziare altre persone la vide, era Elisa, lei sorrise leggera, e sotto lo sguardo di Paolo gli si avvicinò e l’abbracciò. Fu un abbraccio di ritrovo, fu un abbraccio col sorriso, rimasero quasi un minuto attaccati poi Elisa si levò leggera e con le lacrime agli occhi disse a lui: “Grazie di essere venuto, mi sei mancato.”. Lui non disse nulla, rimase inerme davanti a lei che in lacrime, ma con un sorriso sincero sulle labbra, si girava e andava ad abbracciare il suo ragazzo che, ribollendo di gelosia, ricambiava a stento.

G.R.

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