mercoledì 29 ottobre 2014

So che questa notte ti sognerò.

So che questa notte ti sognerò amore,
vestita solo dell'azzurro dei tuoi occhi.
Potrai camminare sul mio cuore
se vorrai perderti nel mio respiro, e potrai
suonare le mie vene
se le mie parole non ti parleranno più delle tue labbra.
Lascia che io muoia di te
per ogni palpito che i tuoi seni mi rubano,
lascia che io intrecci le nostre vite
leggero come un temporale d'estate, e quando
i miei pensieri ti bagneranno i capelli
lascia che t'incalzi della mia passione
sul nostro letto fatto di nulla.
Vivi insieme a me di un solo amore,
e ti mostrerò la mie mani scrivere i sogni
che ancora non ti appartengono.
So che questa notte ti sognerò amore,
ed è solo per questo che chiudo gli occhi.


G.R.

giovedì 25 settembre 2014

Ricordi.

Una pila di ricordi.
È tutto quello che rimane.
È il quoziente preciso di una cascata di storie.
Sorrisi e pianti sistemati,
ordinati uno dietro l'altro
in quel vecchio giocattolo
che hai nel petto.

È rimasta solo qualche pagina sporca
dei molti capitoli che ho letto.
Perché il libro va sfogliato tutto,
bisogna sempre seguire la trama,
ovunque ti porti.

E così forse,
arrivati alla fine dell'ennesimo capitolo,
ci si può voltare indietro.
riprendere quelle pagine pesanti,
una alla volta,
rileggerle e ricordare,
piangere lacrime di fuoco che, lente,
bruceranno quella sbiadita pila di ricordi,
facendomi sentire dentro,
profumo di nostalgia.


G.R.

giovedì 14 agosto 2014

Solo.

Ci sono quei momenti
in cui arrivi donando troppo, 
solo,
neanche la pelle sta più con te,
solo,
polvere in balia dei tuoi pensieri.
La testa si perde in frasi già dette,
sguardi già vissuti, ricordi.
E senti qualcosa percuoterti dentro,
una bolla di vuoto uscirti dalle orecchie,
grida cieche uscirti tra i denti
e non fare rumore,
lacrime asciutte rigare il viso che indossi.
Ho solo bisogno di dormire,
sapere che voi sognerete anche per me.

Ci sono quei momenti 
in cui arrivi donando troppo,
solo.

Ho ancora molto per voi.


G.R.

domenica 3 agosto 2014

Light And Strings.

Ispirato da questo bel pezzo.


Light And Strings.

Sento le gambe sciogliersi 
in uno stagno di stelle,
le sento tra le dita
sono calde e morbide,
sono luce e buio insieme.

Sento gli occhi abbracciare il sogno,
le nuvole saranno mie compagne di viaggio,
la pioggia saprà indicarmi la strada.

Sento costellazioni sussurrarmi
quello che diventerò,
le sento materne dirmi
che posso farcela.

Noi insieme costruiremo 
futuri luminosi come 
lo sbocciare dei tuoi iridi quando 
ritorni alla vita ogni mattina.

Guarda insieme a me la notte,
troverai il nostro primo bacio,
e quello che ancora non ci siamo dati.

Guarda insieme a me la notte,
vedrai come le nostre mani 
si abbracciano e si aggrappano
l'una all'altra 
perché hanno troppa nostalgia
del profumo che i nostri corpi
mischiandosi creano.

Guarda insieme a me la notte,
sento le gambe sciogliersi,
sento costellazioni sussurrarmi
che noi insieme costruiremo
cieli stellati, bellissimi,
come quelli di questa notte.


G.R.

venerdì 18 luglio 2014

Le storie della polvere.

La vita scorreva lenta ed incolore tra le crepe del giorno, il tempo non aveva più una direzione, la notte ed il giorno erano scanditi solo dall'accendersi e lo spegnersi dei lampioni per le strade. Aprì gli occhi, erano le cinque del mattino, il respiro regolare era la dimostrazione che era ancora vivo, inerme, ma vivo. Accese l'ultima sigaretta del suo pacchetto di Philip Morris blu, duravano sempre troppo poco queste fottute sigarette pensò. Si grattò dietro il ginocchio e si mise seduto sul bordo del letto, in mutande, le testa gli girò per un secondo dato lo scatto che fece per alzarsi. Si sentì già privato di ogni forza, non arrivo nemmeno al bagno per pisciare pensò, al diavolo, è tutto così distante, il cesso, la porta, la mia vita. Fissò la moquette sporca di quella stanza per un attimo, poi si destò, barcollando nella luce soffusa che entrava dalla finestra, ed andò a pisciare. Bevve un sorso d'acqua dal lavandino del bagno, con il seguente fece dei gargarismi per togliersi dalla gola il rigurgito acido del suo stomaco, dovuto alla birra e alle troppe sigarette della sera prima. Poi si rimise a dormire. 

Si svegliò alle undici a causa del caldo appiccicoso che gli si era steso sopra, l'afa sembrava quasi gli avesse legato polsi e caviglie al letto. Le lenzuola sudate avevano un odore dolciastro ed acre allo stesso tempo , riuscì ad alzarsi impuntando i gomiti nella carcassa flaccida del materasso. Si trascinò nel bagno e, ancora in mutande, entrò nella doccia incrostata di calcare, accese l'acqua spostando la manopola completamente nel verso del getto freddo, abbassò il capo e rabbrividì leggermente. 

Entrò nel bar dall'altro lato della strada, Monkey Bar, questo era il suo nome, un locale buio e non particolarmente pulito dove l'aria sapeva di uova in salamoia e fumo. Rovistò la tasca destra del pantalone cercando gli spiccioli rimasti dall'ultimo racconto che aveva visto pubblicare il mese scorso; grazie al cielo bastavano almeno per un caffè. Bestemmio a bassa voce mentre sorseggiava quell'orrenda brodaglia che gli avevano servito, contorcendosi le cervella a cercare quale potesse essere il fottuto motivo per cui non sfiorava la sua macchina da scrivere da quasi un mese oramai. 

Pensò: "Sono al verde, non mangio da giorni, eppure nemmeno una cazzutissima parola riesco a trovare per cominciare a scrivere, che cazzo mi è successo?!? Forse dovrei smetterla di bestemmiare ed andare a messa qualche domenica di queste. Dio, da lassù è uno spettacolo divertente? Per quale motivo dovresti ascoltare un misero come me, tutto quello che volevo era fare lo scrittore, John Bardi, il genio della letteratura del Novecento, è così che volevo essere presentato nei talk show in prima serata, ed invece sono John Bardi, lo squattrinato miserabile che ha pubblicato due racconti sul "New York Week" e che è ormai un mese che non riesce nemmeno a sedersi davanti alla sua macchina da scrivere. Aveva ragione mia madre, avrei dovuto continuare gli studi invece di scappare dal Minnesota per venire a New York, ma non posso tornare a casa adesso, sono uno stupido orgoglioso, e lo sguardo commiserante di mio padre non voglio sentirmelo addosso."

Venne destato dai sui pensieri alla vista di un vecchio signore in giacca e cravatta che si sedette sullo sgabello di fianco al suo. Aveva l'aspetto disteso, il viso era quello di uno che ne aveva vista passare di acqua sotto i ponti, gli occhi, leggermente sporgenti, sembravano velati da una nebbia invisibile. Il vecchio si voltò e disse: "Ehi amico, come va la vita?", John Bardi rispose: "Uno schifo, sono un fottutissimo idiota del Minnesota che era convinto di saper raccontare delle storie, ma in realtà sono un miserabile che di storie da raccontare non ne ha proprio nessuna.", il vecchio sorrise: "Di storie ne è pieno il mondo, se sai ascoltare, tutti hanno una storia da raccontare, io ne ho una, il barista ne ha una, la cameriera pure; persino la polvere se le dai il tempo per farlo, ha una storia da raccontarti."

Il vecchio diede un ultimo sorso alla sua birra, si alzò ed uscì dal Monkey Bar, attraversò la strada guardando fisso difronte a se, e venne investito da un taxi, finì a faccia in su sull'asfalto consunto, con un sorriso stampato in faccia. 

John ancora stranito, attraversò la strada e salì nella sua stanza, si sedette alla scrivania, ed incominciò a scrivere.


G.R.

sabato 12 luglio 2014

Il racconto di un ragazzo che non c'è più. #17

17.


Stefano ed Elisa sparirono poco a poco dalla sua vita, come temporali d'estate, intensi ma passeggeri.

Poteva capitare che lui li incontrasse per caso o li intravedesse, ma lasciava correre, non dava più l'importanza di una volta. Sentiva un sentimento strano però quando succedeva, un insieme di nostalgia e distacco, non era mancanza quella che provava, era più un ricordare. 

Probabilmente rimarranno sempre persone speciali per lui, infondo sono stati le strade che per un periodo della sua vita ha percorso e condiviso, alle volte è stato difficile e deludente, altre invece ha trovato rifugio in esse, un posticino comodo e caldo dove riposare quando di camminare non ne aveva proprio le forze. 

Ed è così che lui ha perso tanto, ma ha guadagnato tutto.

Girandosi ride pensando a quante lacrime si sono asciugate sul suo viso; non rimpiange quello che è stato perché quello che è stato lo ha colpito e accarezzato e non cambierà, sarà il manifesto di una stagione passata, di un pezzo di vita che si è inchinata al tempo che non perdona.

Da tutto questo ha imparato che per i rimpianti non c’è mai spazio, che chi porge troppo spesso l’altra guancia non riceverà altro che schiaffi. Ha imparato che dai temporali non ci si asciuga mai del tutto, e che le sigarette possono essere tue amiche se sai parlarci, il tempo invece no, non ti regala neanche un secondo. 
Il cielo è il riflesso di un paio di occhi, e l’amore delle lenzuola sudate.  Sui ponti puoi inciderci i ricordi di un’estate, e dove muoiono parole nascono silenzi che urlano.

Tu sogna pure se ne hai voglia, ma gli occhi tienili aperti, perché si può morire anche dormendo, ma tu fallo lo stesso.

Ha imparato che negli angoli non c’è sempre un castigo, a volte è l’unico posto con le spalle coperte. E non bisogna farsi scrupoli, perché il mondo è degli stronzi, e la vita è un insieme di scelte, destra, sinistra, non importa, basta camminare.

Sì, questo è il racconto di un ragazzo che non c’è più, lo stesso ragazzo che pur avendo perso due persone importanti è andato avanti, ed è morto trafitto da quei due lampi azzurri che sono gli occhi di Amelie. Ora dalle sue ceneri è nata una nuova persona, qualcuno che finalmente ha capito cosa vuol dire vivere.

Il suo nome è Vasco.



G.R.

venerdì 4 luglio 2014

Il racconto di un ragazzo che non c'è più. #16

16.

Si svegliò strano quella mattina, si accorse appena aprì gli occhi di avere un sorriso stampato sulla labbra, si alzò dal letto spinto da un qualcosa che non sapeva bene cos’era, non riusciva a intravederne il viso. Ripensò alla sera precedente sorseggiando un caffè amaro, la sfumature del suo aroma avevano un sapore nuovo, ricordavano le note dolci del profumo dei capelli di Amelie, quasi spezziate, come quel fare un po’ stravagante che aveva, particolare.

Quando pensava a lei gli veniva voglia di viaggiare, ogni volta che le guardava il viso vedeva espressioni e fisionomie di paesi lontani. Con lei avrebbe voluto prendere e partire, da un giorno all’altro, senza dare spiegazioni, riempire uno zaino delle prime cose che gli capitavano in mano e salpare. 

S’immaginava di passeggiare attraverso un vicoletto stretto e luminoso di un paesino spagnolo, o essere svegliati dal vento gelido che solca le acque di uno dei tanti laghi del nord. Lui sentiva una nuova voglia di vivere crescere dentro man mano che i giorni passavano, ne sentiva l’odore, come quando sua mamma infornava nei pomeriggi nuvolosi una torta, quel nuovo sentimento che percepiva dentro aveva lo stesso dolce profumo di vaniglina e fialette di aromi agli agrumi, respirava una nuova aria. 

Con l’ultimo sorso di quella tazzina di caffè terminò anche il suo viaggio, si ritrovò in mutande seduto in cucina, aspirando forte la sigaretta che aveva appena acceso e con il cellulare nell’altra mano, dopo aver appena inviato un messaggio ad Amelie.

G.R.

venerdì 27 giugno 2014

Il racconto di un ragazzo che non c'è più. #15

15.

Fu un ritorno a casa strano per lui, si sentiva scosso, confuso. Guardò su verso il cielo nero di quella notte, c’era la luna piena, le stelle sembrava quasi fossero attirate da quell’enorme palla bianca, quasi come prese all’amo, imbrigliate. 

Lui camminava con la testa rivolta in su, non gli importava di dove stesse andando, di che strada stesse percorrendo, il suo sguardo era rivolto al cielo quella notte, non più all’asfalto sporco della sua vita. La luna lo aveva rapito anche questa volta, le sue sfumature scure risaltavano ancora di più in quel ritorno a casa, sembrava quasi ci fossero due entità nella luna di quella notte. Rivide un po’ se stesso, si sentiva diviso a metà, poteva percepirle quelle due parti opposte del suo essere condividere lo spazio che offriva quel suo brutto corpo. Il clacson di una macchina lo risvegliò, immerso nei suoi pensieri stava attraversando la strada mentre un’automobile verde scuro correva silenziosa affianco al marciapiede dove lui camminava. Il rumore pungente del clacson dell’auto entrò di prepotenza nelle sue orecchie, quasi volesse graffiargli i timpani. 

Dopo un momento di spossatezza un pensiero si accasciò nella testa di lui, profumava dei capelli di Amelie, aveva i suoi stessi occhi azzurri, profondi come una notte, ma chiari come la luna. Stranito da questo nuovo pensiero lui si fermò, i piedi gli si immobilizzarono quasi fossero attaccati al suolo. Si sedette su di un muretto e sentì il suo stomaco chiudersi in una morsa, aveva paura. I suoi sentimenti lo avevano sopraffatto un’altra volta, lo sentiva quel terrore di ferirsi ancora crescere in lui, sapeva il suo nome e sapeva da dove proveniva, lo sentiva pungergli dall’interno lo stomaco, quasi avesse ingurgitato un chilo di chiodi. Era la sua autodifesa contro la vita, era l’antifurto del suo cuore. Era cresciuto in lui ogni volta che i suoi sentimenti erano passati sulla graticola bollente del rifiuto o di tutto ciò che si era contrapposto ad ogni via che poteva portarlo alla felicità. Lui non sapeva nemmeno bene cosa fosse la felicità, se l’era dimenticato come fosse una filastrocca imparata alle scuole elementari, si ricordava le prime due strofe poi il vuoto, il finale era ormai un lontano ricordo. Forse aveva amato troppo in passato, forse aveva lapidato il suo sentimento con gli occhi della persona sbagliata, anzi sicuramente era così, ed era per questo che si era progettato quell’allarme interno. 

Si, aveva amato la persona sbagliata per troppo tempo, aveva visto ristagnare per troppo il suo cuore nella speranza di un qualcosa che non sarebbe accaduto. Così aveva staccato la spina a quel sentimento, ed una volta scarico lo aveva riposto in un angolo buio, dove le ragnatele avrebbero potuto fargli compagnia.

Poi in un momento, dal buio nacque la luce, sentì qualcosa di nuovo crescergli dentro, come se un piccolo seme fosse fiorito nel buio ovattato della sua anima. Vide chiaramente sbocciare due fiori azzurri, dello stesso colore degli iridi di Amelie, e quella sensazione di paura che gli bloccava i piedi sparì. Sentì un calore riempirgli il petto facendoglielo quasi scoppiare, non capiva bene cosa stesse succedendo, ma un sorriso gli deformò il viso e vide chiaramente il volto di Amelie riempirgli la mente. Ancora abbaiato da tutto ciò si alzò e continuò la strada verso casa, pieno di un sentimento che non capiva e che per adesso non gli interessava capire, convinto che si sarebbe dato un’altra possibilità per essere felice, sicuro che questo suo tentativo sarebbe stato l’ultimo, come un colpo di reni del suo cuore.

Luce.


Due pezzi di cielo

E poi due pezzi di cielo accarezzano la tua pelle così rovinata,
e vorresti solo chiuderli con un bacio
così da non farli consumare guardando questo mondo
che crolla in pezzi tutt’intorno.
E vorresti solo stringerli forte a te
così che non si brucino guardando questo sole
così freddo.
Vorrei solo loro ad illuminare le mie giornate.
Vorrei prenderli e conservarli sotto il mio cuore
così che vedano che all’interno ci scorri solo tu.
Adesso vorrei che le mie ore sorgessero con te.

Nell’aria parole che poco tempo fa erano solo lettere,
ma lasciamole dove sono,
fa un così bel rumore il silenzio con te.


G.R.

giovedì 26 giugno 2014

L'unica strada.

Il cielo sta pisciando anche questa notte,
ma non mi bagna questa volta.
Altri mille soli crollano dietro ad un angolo,
ma io non guardo più.
Persone uguali a me affogano annaspando
nelle loro vite appiccicose,
ma io non ascolto più.
Ho vagato troppo a lungo senza luce,
ho retto sulle spalle sogni in macerie fino
a rimanerci seppellito sotto.

Il mondo non si ferma, continua a rotolare giù;
nel buio degli uomini che lo abitano.

Ora invece dormo tra le braccia che amo,
tengo in piedi la mia vita
con i battiti nuovi del mio cuore.
Non vorrei mai vivere in un mondo senza i tuoi occhi.
Ed è così che vivo,
respirando dai tuoi sogni,
nutrendomi del tuo corpo
che si libra sopra le nuvole di questo temporale senza fine.

Sei la mia unica strada, conducimi via di qui.


G.R.

sabato 21 giugno 2014

Il racconto di un ragazzo che non c'è più. #14

14.

I giorni si scambiavano il testimone veloci, e lui non riusciva a starci dietro, si sentiva mancare qualcosa, come se un chiodo gli si fosse piantato in un piede ed ogni passo che avanzava verso un nuovo giorno gli provocasse un dolore insopportabile. In quei giorni pensò molto, sempre meno sonno e più pensieri appesantivano le sue palpebre, si sentiva la testa schiacciata in una morsa, ogni volta che il pensiero tornava ad Elisa un pugno invisibile gli rompeva il naso facendolo sanguinare. Era distante, da tutto e da tutti, si era isolato in un pianeta in cui solo lui poteva arrivare, era lì che si rifugiava cercando scampo da quel fiume in piena che usciva dal suo cervello.  Ed è lì, in quel posto sperduto fra i suoi pensieri che scrisse della distanza invisibile che c’era tra lui ed Elisa, un vuoto lungo dieci passi, un burrone immenso.


Dieci passi.

Dieci passi,
le vedo sorridere
gli occhi.
Una storia,
ora guarda in basso.

Siamo tanto lontani
da poterci abbracciare,
tanto vicini
da non poterci salutare.
Lo stesso motivo che ci divide
c'ha presentati.

E poi
arriva uno stralcio
di sguardo,
il cielo,
tutto si prende una
pausa, sospesi.

Ma il tempo
scorre, e
le storie finiscono.

Devo andare,
dieci passi,
ricorda.


Tutti notarono la distanza che lui aveva posto tra i suoi occhi ed il mondo, anche Amelie, che una sera, mentre lui l’accompagnava verso casa, arrivati all’entrata del suo palazzo gli chiese: “In questi giorni ti vedo strano, che succede?” “Ma niente, sono parecchio pensieroso ultimamente.” “A cosa pensi?”. L’aria quella sera era più fresca del solito, poco prima un temporale aveva portato via con se l’afa che divorava la città, un brivido di freddo percorse la schiena di lei, si sedettero sulle tre scale che portavano all’entrata del condominio di Amelie, lui prese un respiro, e disse: “Sai, sono stati giorni un po’ strani questi per me, ho interrotto un’amicizia fondamentale, e mi vergogno quasi a dirlo, ma per nulla.” “Ma come? E perché l’hai fatto?” “Per salvarne un’altra, che sta precipitando sempre di più nell’anonimato.” “Stai parlando di Stefano vero?” “Si, ho detto ad Elisa che era meglio se non ci sentivamo più, ed è stato un colpo tremendo per me. In più Stefano fa finta di nulla, e questo mi fa ancora più male.” “Dai, racconta.”.

Quella sera lui raccontò ad Amelie tutta la sua storia, dall’inizio alla fine, gli parlo di Stefano ed Elisa, di come il sentimento per quest’ultima era cambiato, e di come non sarebbe dovuto accadere. Lei ascoltava in silenzio, a volte muoveva lento il capo in su e in giù, facendo segno di capire cosa lui stesse passando, lui vomitò tutto ciò che aveva dentro, tutte le sue paure, i suo pentimenti, quando arrivò alla fine ci fu un momento di silenzio, gli sembrò di percepire l’aria vibrare lieve per poi fermarsi, come quando tocchi appena la superficie di un bicchiere pieno d’acqua.

Amelie sorrise comprensiva, e poi come per ricambiare tutta la fiducia che lui aveva riposto in lei raccontandole la sua storia, iniziò a raccontare la sua. Quella storia parlava di Stefano, della loro relazione, di come era stata presa da lui, e di quanto fosse rimasta segnata dalla decisione di Stefano di lasciarla, diceva di aver pianto per lui, ma di essersi accorta dopo che non c’era motivo di sprecare lacrime per uno così. Poi disse di aver conosciuto un altro ragazzo, raccontò che stava incominciando a frequentarlo, e poi smise improvvisamente di emettere parole, quasi come le mancasse l’aria. I due si sorrisero, era così poco che si conoscevano eppure sentivano che c’era qualcosa di speciale tra di loro, era tardi ormai, e senza che loro se ne fossero accorti era passata quasi un’ora. 

La temperatura si era abbassata ancora, e Amelie rabbrividì lievemente per il freddo, lui vedendola infreddolita prese una felpa che aveva nello zaino e gliela porse, lei la mise e sorrise ancora,
con i suoi occhi che alla luce dei lampioni brillarono ancora più belli.


G.R.

domenica 15 giugno 2014

Il racconto di un ragazzo che non c'è più. #13

13.

Si trovarono su quel ponte lui ed Elisa, lo stesso su cui si erano sempre trovati, lo stesso sul quale avevano inciso ricordi indelebili, lo stesso dove sarebbe finito tutto.

C'era un'aria densa tra i loro occhi, quasi volessero accorciare la distanza tra i lembi di quella voragine sui quali stavano. Senza preavviso Elisa interruppe quel momento di silenzio: “Lo so perché siamo qui, e io non posso crederci, cioè tu vuoi far finire tutto, vuoi porre un punto alla nostra amicizia senza che io ne capisca il motivo, io non voglio rinunciare a te, io ti voglio bene!” “Elisa, il motivo per il quale la nostra amicizia non può essere più la stessa è la nostra amicizia in sé, è il motivo per la quale è nata, è tutto quello che è successo, è quello che non è mai successo e io vorrei da morire che succedesse!” “Non capisco.”, era quello il momento in cui lui avrebbe dovuto dirle tutto, era quel preciso secondo nel quale le labbra di Elisa si deformarono in un piccolo cerchio il momento in cui lui le avrebbe dovuto confessare il suo sentimento, ma non lo fece, non ne ebbe il coraggio, girò lievemente la testa e guardò giù da quel ponte, poi allungò il foglio che teneva in tasca e glielo diede. Elisa lo lesse in fretta e scoppiò in lacrime, lui sapeva di essere la causa del suo dolore ma non fece niente, resto inerme in piedi a guardare i suoi occhi piangere, pensava che così facendo lei si sarebbe staccata del tutto, pensava che quest'ultimo dolore sarebbe servito per permettere ad Elisa di farsene una ragione, voleva interpretare il ruolo del cattivo così che Elisa se ne andasse da lui per sempre. Ma non ci riuscì. La abbracciò e le disse piano: “Odiami Elisa se vuoi, ma non posso fare altrimenti.”, lei ancora in lacrime si girò e corse su per la salita che portava a casa sua, senza dire nulla.

Buio.

Poco dopo si incontrò con Stefano e gli disse tutto, sotto una maschera di dispiacere lui notò una sottile linea di sollievo nel suo volto, non era contento Stefano, ma sembrava fosse quasi sollevato da quello che aveva sentito, come se un macigno si fosse levato dal suo stomaco. A lui diede incredibilmente fastidio questa sensazione che aveva, l’espressione di Stefano, non voleva gratitudine da parte sua, ma nemmeno totale apatia, infondo aveva rinunciato ad Elisa per salvare la loro amicizia, ma Stefano non disse nulla, chiuse gli occhi per un secondo sprofondando in un pensiero, quando li riaprì fece finta di nulla, con un sorriso.


G.R.

giovedì 12 giugno 2014

Vicky.

Vicky amava il sesso, lo adorava, penso che solo in quei momenti si sentisse viva. C'era forse solo un'altra cosa che preferiva al sesso: addomesticare uomini, sì, tenerli costantemente in bilico tra le sue voglie da soddisfare e la luce di passione che ad ogni uomo si accendeva negli occhi quando Vicky decideva che lui sarebbe stato il suo prossimo passatempo. 

Penso fosse un dono innato il suo, nessun'altra donna sapeva tenere per le palle un uomo come lo faceva lei; li faceva sbavare tutti, li torturava facendo intravedere il suo corpo perfetto, li spogliava di tutto, dignità compresa, e poi ci giocava, fin quando il giocattolino perdeva d'interesse. Nessuno maschio era al sicuro dalla sua fame: avvocati, impiegati, postini, facoltosi, nullatenenti, palestrati, pelleossa; tutti cadevano alla fine, facendo tutto ciò che quella Venere di Vicky chiedeva.

Ora era il mio turno.

Non ero speciale per Vicky, solo uno dei tanti, la avevo stuzzicata tanto quanto altri mille prima di me, o forse neanche questo, probabilmente era solo annoiata. Bisogna dire però che era davvero stupenda, una puledra di quelle che tutti gli stalloni vorrebbero ingropparsi; bionda, alta, curve da togliere il fiato, e quello sguardo, due occhi glaciali, spietati ma allo stesso tempo irresistibili, era impossibile non cadere nelle sue grinfie. 
L'ho conosciuta ad una pompa di benzina, faceva caldo quel pomeriggio, era pieno agosto, e Vicky a bordo delle sua Porsche rosso fiammante si affiancò a me: "Uuuuf! Che caldo che fa oggi!", una goccia di sudore sprofondò nella sua scollatura vertiginosa, due tette che sembravano scolpite, io seguendo la piccola goccia con lo sguardo risposi: "Eh si!", sorrise: "Io sono Vicky, tu sei?" "Piacere, John!" "Certo che qui in Texas è pieno di bei fusti", ammiccò, "John non è che potresti aiutarmi con il pieno? Sai non sono molto pratica di queste cose, ma in altre dicono che io sia la migliore."

Fu un attimo, mi ritrovai a scoparmi Vicky, o meglio, ad essere scopato da lei nel motel di fronte alla pompa di benzina. Fu stremante, era una vera furia a letto, non mi lasciava un secondo nemmeno per riprendere fiato: schiaffi, graffi, morsi; quella puttana ci sapeva proprio fare. Mi risucchiò via l'anima in un'ora di sesso sudato, dopo che fu sazia, si alzò, andò in bagno, si sistemò il rossetto e si rimise il vestito senza le mutandine: "Mio piccolo John, per un'ora sarebbero 500."

È stata probabilmente la scopata migliore della mia vita, anche la più costosa per quello, chissà se a Vicky è piaciuta quanto a me, probabilmente è stata solo una delle tante, beh sicuramente è stata l'ultima visto che ora in mezzo agli occhi ha un bel foro di proiettile. 

Io di solito ammazzo solo su commissione, ma se lo meritava proprio quella gran puttana, 500 dollari erano davvero troppi.


G.R.

sabato 7 giugno 2014

Il racconto di un ragazzo che non c'è più. #12

12.

Ora lui ed Amelie si vedevano spesso, se passava troppo tempo senza che la vedesse, lui ne sentiva il bisogno, gli veniva una specie di malinconia delle labbra di Amelie che riuscivano sempre a far uscire parole che in un modo o nell'altro rendevano migliori le sue giornate. 

Si trovavano sempre ad una fermata dell'autobus vicino all'entrata di quel parco dove lui ed Elisa avevano passato giornate bellissime, a metà tra casa di lui e quella di Amelie. A loro quel posto piaceva chiamarlo il “loro posto” e quando si mettevano d'accordo per trovarsi, uno dei due scriveva all’altro su di un messaggio “Ci troviamo al nostro posto.”, questo a lui suscitava sempre un sorriso lieve.

Intanto lui ed Elisa incominciavano a sentirsi di nuovo, non come una volta, solo qualche messaggio al giorno, lei diceva che gli mancava parlare con lui, e anche se non lo ammetteva anche a lui mancava. Era sezionato a metà, da una parte sentiva ancora il bisogno di tentare ancora con Elisa, dall'altra c'era l'immagine di Stefano che anche se sempre più sfuocata rimaneva fervida nella sua mente. Decise allora di confessare tutto ad Elisa e di farlo scrivendole una poesia, un addio scritto su un foglio di quel quaderno su cui lui aveva iniziato a scrivere la sua prima poesia. 

Era notte, e reso insonne dal pensiero di questa poesia si mise sul balcone a fumare una sigaretta. C'era la luna piena quella notte, e lui aveva sempre avuto un debole per l'atmosfera che si crea le sere in cui quell'immenso punto luminoso attira a sé i pensieri di tutte quelle persone un po' romantiche o forse tanto stupide che a naso in su ammirano quello spettacolo. Fu questione di un secondo o forse meno, il tempo di consumare una boccata di fumo e vedere la sua sigaretta morire in uno sbuffo rosso di fuoco, scrisse:

La foto (ma non devi piangere, mai.)

Sono scelte per non
morire,
ma alla fine si muore lo stesso,
solo in modo diverso.
Sono le persone
giuste,
incontrate nei momenti sbagliati.
Sono cicatrici che
bruciano,
testimoni di questa guerra senza
vincitori.
Sono pensieri che ti aprono la testa,
e te l'incollano agli occhi
questa realtà.
Sono l'ennesimo
cielo crollato,
da portare in spalla
senza fiatare.
Sono mille lune che non brilleranno più,
un'altra notte buia.
Sono parole che sfumeranno,
cadranno nel rumore di
silenzi infiniti.
Sono ricordi che accosteranno strade diverse,
sole.
Sono pagine che vengono bruciate,
profumi che chiameremo
nostalgia.

Sono due occhi color verde indelebile,
che non mi lasceranno mai.


La concluse in pochi minuti, era già dentro di lui, come una bomba che aspettava solo di essere accesa, scoppiò. Così si ritrovò vuoto, seduto sul balcone con le gambe penzolanti nel vuoto che separava il primo piano di casa sua dall'asfalto. Dopo averla scritta penso subito di gettarla via, di bruciarla, ma non lo fece, era ciò che avrebbe sempre voluto dire ad Elisa. Nascosto dietro quelle parole c'era quel sentimento che gli era nato dentro poco a poco, mischiato con quella disillusione che era sempre sua compagna. Aspettò, una notte intera, pronto a vedere cosa sarebbe successo il giorno dopo, quando avrebbe dato il suo addio ad Elisa.


G.R.

venerdì 6 giugno 2014

Here I am again.

E sono di nuovo
qui,
strade lunghe come
inverni,
seduto
sotto una notte
di neon.
E sono di nuovo
qui,
quanta pelle ho lasciato
indietro,
si è consumata come
capelli bruciati.
E sono di nuovo
qui,
seduto con i miei ricordi,
parole stampate
indelebili
sulla mie braccia.

Lasciali scorrere dentro,
come fuoco in vena,
come sudore di vita,
come baci morbidi,
ricorda.
Lasciali passare, rincorrersi 
tra i tuoi capelli,
guardali,
e accenditi un'altra sigaretta.

E sono di nuovo
qui,
ho perso
l'equilibrio,
non so più qual'è il sopra
e il sotto.
E sono di nuovo
qui,
in un letargo di sensazioni.

C'è bassa marea sotto la mia pelle. 

G.R.

sabato 31 maggio 2014

Il racconto di un ragazzo che non c'è più. #11

11.

Quei giorni passarono in fretta, sembravano la brutta copia di quel felice inizio estate, prima che succedesse il lento tracollo. Ogni sera, quando si ritrovava solo nel letto, guardando il soffitto al buio, lui pensava a Stefano, ad Elisa, e ad Amelie. 

Iniziò ad uscire con l’ex ragazza del forse suo ex migliore amico, erano passeggiate da amici, erano chiacchierate di sfoghi e consolazioni, erano belle. Un pomeriggio mentre si trovava seduto con Amelie su delle scalette vicino a casa di lei arrivò un chiamata che lo lasciò immobile per alcuni secondi, era Elisa.

“Ciao.” “Ciao Elisa, che succede, come mai questa chiamata?” “So che non sono la persona che vorresti sentire ora, ma penso che dovremmo mettere da parte un attimo quello che è successo, perché è morta la madre di Giorgia.”.

Giorgia era una compagna di classe di Elisa ed una sua amica, lui non sapeva bene perché avesse incominciato a scrivergli ma in poco tempo lei aveva speso parole pesanti per lui, che lo avevano lasciato stranito, riuscendo a strappargli anche qualche pensiero dal solito ammasso che aveva in testa. Per lui era un’amicizia strana, per lei fondamentale a quanto diceva, ma lui ne era rimasto amareggiato, pensava che Giorgia non sapesse bene il peso delle parole che usava, non le sapeva usare, e perciò ne rimase in disparte, per una questione di sicurezza forse. Questo non voleva dire che non si era affezionato a lei, ma forse non quanto lei, nonostante ciò la frase al telefono di Elisa lo scosse molto.

“Cosa? Giorgia mi aveva detto che sua madre non si era sentita bene, ma non pensavo a tal punto.” “Lo so, nessuno se lo aspettava, è stato tutto così improvviso.” “Mi dispiace un sacco, sul serio.” “Il funerale è lunedì, penso dovresti venire, ti ho chiamato per dirtelo, e poi, volevo sentirti.” “Penso che verrò, io odio i funerali, ma penso che verrò.”

Chiusa la conversazione lui raccontò quello che Elisa gli aveva detto ad Amelie, che ne rimase molto scossa, così dopo poco lui le disse che era meglio se tornava verso casa, e la salutò.

Arrivò in chiesa che la cerimonia era appena cominciata, si mise infondo alla piccola chiesa del paese in cui viveva Giorgia. La chiesa era piena a tal punto che molte persone si sistemarono in piedi fuori dal grande portone di legno riuscendo a seguire la voce del prete solo grazie alle casse posizionate fuori dalla minuscola cattedrale. Lui si ritrovò vicino a Paolo, il ragazzo di Elisa, e dopo essersi scambiati un freddo saluto seguirono la cerimonia in silenzio. Lui sapeva che Paolo non provava grande simpatia nei suoi confronti, era un ragazzo molto geloso e sapere che la sua ragazza aveva passato tanto tempo con lui l’aveva fatto imbestialire molte volte. 

Non riuscendo più a gestire l’aria tesa e sofferente che si respirava in chiesa lui uscì cinque minuti prima della fine della cerimonia per fumarsi una sigaretta. Mentre aspirava il fumo catramoso della sua sigaretta gli tornò in mente il funerale di suo nonno, quella chiesa piena di gente, piena di facce che non conosceva, c’era anche Paolo quel giorno, Elisa e Stefano no, non li conosceva ancora. Al solo pensiero di quel giorno, gli scoppiò dentro tutto il dolore che aveva provato, quel lacerante senso di vuoto, gli occhi di sua nonna che piangevano la scomparsa dell’uomo che aveva amato per una vita, le sue urla che gli dicevano di piangere, di sfogarsi, perché sarebbe morto tenendo tutto dentro, ma lui non lo fece. Si ricorda che all’udire delle grida sofferenti di sua nonna non pianse, non voleva che si mischiassero le loro lacrime, non credeva sarebbero state abbastanza bagnate le sue lacrime per unirsi a quelle di sua nonna. Non perché non volesse bene a suo nonno, ma  perché quelle di sua nonna uscivano dagli occhi che avevano visto e amato suo nonno per una vita. 

Così aspetto di essere solo, andò in bagno e scoppiò in un pianto di dolore, soffocato, silenzioso, in rispetto a quell’uomo che per lui era un esempio, un mito, era suo nonno. Insieme alla cenere di quella sigaretta cadde a terra anche una lacrima, era dal funerale di suo nonno che non piangeva, era da quando in quel bagno vide riflesse nello specchio le sue guance rigate di dolore. Lui odiava piangere. Gli venne in mente ogni singola parola di quella poesia che aveva scritto come ultimo saluto per suo nonno, gli sembrava quasi si materializzassero davanti ai suoi occhi, lì, in quel pomeriggio afoso, le sussurrò piano, come se fossero il suo più grande segreto:

La persona che sapeva sempre

C'è ancora il tuo odore,
qui,
nella tua stanza.
quella dove ti rinchiudevi
sempre,
viaggiavi in
quell'immenso
della tua mente,
e poi riapparivi,
bello, alto ed
elegante,
pronto per il pranzo.

Ti ricordi
quando tornavo da scuola e come
prima cosa salutavo te?
Coprivo i tuoi occhi
che avevano visto
tutto, e
ti sussurravo:
"Chi è?!”

Stupido gioco
di un bambino
innamorato 
di suo nonno.

Ma tu scherzavi
sempre ed
io ridevo.

Vorrei mi vedessi
ora.
Vorrei che
tu,
la persona che sapeva,
sempre,
mi dicesse che
è questa la mia
strada.
Vorrei poter ancora arrivare da dietro,
in silenzio, e
giocare con te:
“Chi sono?!”

Io non lo so.

I lampioni
in questa strada
non esistono.



A toglierlo dai suoi pensieri fu il vociare delle persone che uscivano dalla chiesa, lui si alzò e si diresse verso il grande portone di legno aspettando di vedere Giorgia per dirle quanto gli dispiacesse. Dopo pochi minuti la vide, sorrideva, e ancora mentre rimaneva allibito da ciò che aveva visto lei si avvicinò e lo abbraccio sussurrandogli nell’orecchio: “Grazie di essere venuto.”

Dopo che Giorgia si staccò da lui per andare a ringraziare altre persone la vide, era Elisa, lei sorrise leggera, e sotto lo sguardo di Paolo gli si avvicinò e l’abbracciò. Fu un abbraccio di ritrovo, fu un abbraccio col sorriso, rimasero quasi un minuto attaccati poi Elisa si levò leggera e con le lacrime agli occhi disse a lui: “Grazie di essere venuto, mi sei mancato.”. Lui non disse nulla, rimase inerme davanti a lei che in lacrime, ma con un sorriso sincero sulle labbra, si girava e andava ad abbracciare il suo ragazzo che, ribollendo di gelosia, ricambiava a stento.

G.R.

sabato 24 maggio 2014

Il racconto di un ragazzo che non c'è più. #10

10.

Il giorno dopo esser ritornato dal mare lui sentì Stefano per vedere se gli andava di vedersi per parlare un po’ di come era andata la vacanza, e Stefano rispose che andava bene. Così alle tre si trovarono nella piccola taverna che lui aveva sotto casa, un piccolo spazio che suo padre aveva ricavato per creare a lui e ai suoi fratelli un luogo dove scappare dalla noia della sua piccola città.

“Ehi, ciao!” “Ciao Ste, allora come stai? Ti sei divertito?” “Si, molto, sono successe un sacco di cose, mi sono divertito un sacco, ho conosciuto delle persone davvero simpatiche e anche una ragazza..”, a lui quella frase risuono in testa quasi volesse far finta di essersela inventata, mescolati ad una buona dose di delusione e dispiacere gli vennero alla memoria quei pomeriggi passati a parlare con Amelie. “Cosa?!? Ma sei scemo Stefano?! Stai scherzando?! Tu sei fidanzato!” “Si lo so, non farmi la paternale, già quando sono partito non ero convinto della mia relazione con Amelie, poi al mare ho conosciuto un’altra ragazza che mi ha colpito subito, e..è successo!” “Ma che cazzo ti è passato per la testa?! Come puoi trattare Amelie in questo modo?!” “Ma avevo già intenzione di parlare con Amelie quando sarei tornato per dirle che non funzionava, non so, non c’è quello scatto in più che lei ha fatto ed io no, non so perché! Lei non lo saprà di questa vacanza.” “Sei una testa di cazzo Stefano, non avresti dovuto.”. 

Quel pomeriggio passò come gli ultimi di quel periodo, contornati da una pellicola di tensione, mentre Stefano faceva finta di nulla, e lui non ci riusciva proprio.

Un paio di giorni dopo Stefano lasciò Amelie, senza darle troppe spiegazione, nascondendosi dietro a quello che a lui piaceva chiamare “Lo scatto in più che non c’è stato.”. Lui ne rimase molto deluso, e soprattutto dispiaciuto per quella ragazza che l’aveva colpito anche solo tramite dei messaggi.

La ragazza conosciuta al mare Stefano se la dimenticò in fretta, scaraventata fuori dal pensiero di Elisa che, tornato alla ribalta, prendeva un posto da protagonista nella sua testa. Lui non disse a Stefano che aveva sentito Amelie, che era deluso da lui, e che non sapeva cosa stesse accadendo alla loro amicizia, e per la prima volta fece lui finta di nulla.


G.R.

giovedì 22 maggio 2014

Passi.

Passi che si scambiano il posto,
avanti un piede, e poi l'altro,
destro, sinistro, destro, sinistro.
Alza la testa, l'aria fredda lo sfiora,
segue i suoi lineamenti solcando un sorriso che non c'è.
Riabbassa la testa, non vuole più vedere,
i suoi piedi continuano a rincorrersi,
destro, sinistro, destro, sinistro.
Aspira un boccata profonda di fumo,
lo sente entrare nei suoi polmoni, scaldarli,
e uscire nero.
Il filtro appena bagnato ha un colore sporco,
e lui continua a guardare i suoi piedi passarsi il testimone,
destro, sinistro, e ancora destro e poi sinistro.
Cammina stanco, non può sedersi di nuovo,
anche il suo viaggio deve continuare,
seguire quella strada accidentata che ha scelto,
ma è stato lui a sceglierla, o l'hanno scelta per lui?
Non gli importa per ora,
ormai ha perso troppo tempo su quella strada,
che lo voglia o no adesso è la sua strada.
E allora guarda in alto,
cerca le stelle cadenti che gli faranno da guida,
non ha mai espresso desideri vedendole precipitare,
perchè lui voleva loro e la loro luce,
eppure si sono spente.
Destro, sinistro, destro, sinistro.
Continua a camminare, guardandosi intorno,
vede gente che lotta, gente che vince e perde,
lui cosa sta facendo?
Sente dall'interno crescere come un urlo,
gli riempie la testa e poi rimbalza di nuovo giù,
dove può controllarlo.
"Ci devi provare!" gli hanno detto,
e allora, destro, sinistro, e ancora
destro, sinistro.

G.R.

sabato 17 maggio 2014

Il racconto di un ragazzo che non c'è più. #9

9.

Quelle giornate bollenti in riva al mare sembravano dormire cullate dal lento movimento delle onde del mare che si estendeva immenso abbracciando quel cielo limpido. Un pomeriggio alla fine della prima settimana di vacanza, mentre lui accese l’ultima sigaretta del suo pacchetto di Lucky Strike rosse, gli arrivò un messaggio: “Ciao come stai?”, era Amelie, la ragazza di Stefano, quel messaggio lo lasciò stranito, confuso, ma poi incuriosito rispose: “Bene dai, tu?”.

Erano le cinque, al sicuro dal caldo di quella giornata lui se ne stava steso sul divano a sorridere davanti al piccolo schermo del suo cellulare, interrotto solo dal lieve e frenetico rumore dei tasti che premeva per comporre battute banali e frasi sgangherate. Aveva visto Amelie un paio di pomeriggi, quando Stefano l’aveva invitato al parco con loro e delle amiche di lei, a prima vista era rimasto abbagliato dagli occhi di quella ragazza, che al ritmo del chiudersi delle sue palpebre facevano intravedere sfumature incredibili, protette e rese indelebili da quelle ciglia nere che sembravano proteggere lo straordinario colore degli iridi di Amelie.

Passò in fretta il tempo scandito dalla vibrazione del cellulare e da quella piccola sensazione di attesa che si creava in lui ogni volta che risposto ad un messaggio non sapeva se lei  avrebbe fatto lo stesso. Parlarono di molte cose e in un modo semplice, quasi come si conoscessero da sempre, celato sotto quelle parole digitali c’era nascosto un filo di ironia mischiato ad un velo di curiosità reciproca. Amelie disse che sapeva che lui scriveva e che aveva letto qualcosa di suo mandatole da Stefano, anche se gli aveva detto di tenerselo per lei, perché sapeva che nessuno oltre lui ed Elisa avevano letto qualcosa. Inizialmente a lui aveva dato fastidio che Amelie avesse letto le sue poesie, si vergognava un po’ perché quelle quattro parole messe insieme che erano il sunto di lui, avendole lette si sentiva nudo di fronte a lei.

“Sei davvero bravissimo, dovresti renderle pubbliche, o fare qualche concorso, o..non so, ma non dovresti tenerle così nascoste.”, lui si stupì molto a leggere questo messaggio, forse un po’ perché non aveva mai sentito opinioni al di fuori di quelle di Elisa e Stefano, o forse perché quella piccola parte di narcisismo che ancora risiedeva in lui ne godeva di quei complimenti. Arrivata la sera e non sapendo più cosa dire, lui la salutò ringraziandola di avergli scritto e con un sincero “Ci sentiamo.”. Rimase tutta la notte a ripensare a quel pomeriggio, e a quei messaggi insignificanti ma che a lui avevano lasciato un sorriso stampato in faccia. Gli piaceva parlare con Amelie e non fu l’ultima volta che la sentì, dopo qualche giorno le scrisse, e dopo qualche giorno ancora gli scrisse lei, ormai sembrava che quell’amicizia costruita dietro ad un cellulare crescesse in fretta.

Stefano ed Elisa invece non li sentì proprio quelle due settimane e ne sentì la mancanza, ma un po’ per orgoglio un po’ per vedere se lo avrebbero fatto loro non gli scrisse, e neanche loro lo fecero.



G.R. 

Visite